Estratti dalla corrispondenza di Federico Gualdi [1]

 

 

lettera del m. rev. P. D. C. de R. al signor federico gualdi a venezia

 

 

Molto Illustre Signor et c.

Egli è proprio d’Uomini grandi, gradire l’ossequio di coloro, che desiderosi d’imparare, per servi, e discepoli gli si consacrano. Che però non mi arrossisco venire con queste semplici righe alla sua presenza benche nudo affatto di merito, per offerirmele tale quale la mia debolezza impetrar puote, presso la sua profondissima Dottrina. Ella è giunta per mezzo di un Soggetto, che fù l’Anno passato costì in Venezia, la fama della sua singolar virtù alle mie orecchie ; mentre havendo ben interrogato d’ogni parola intesa da V. S. hò ben compreso essere nel di lei intelletto la vera scienza, benche detto Soggetto nulla comprenda ; perloche non hò possuto far di meno di communicarle quel tanto, che doppo sett’Anni di studii, la Divina grazia si degnò concedermi.

Per sett’Anni dunque hò raggirato il Mondo per giongere al Campo Damasceno, e prender da esso quella Terra Vergine, unica materia del nostro Magistero, quando Diogene col suo lume dov’era mi fè vedere, Michel Sangivodio[2] mi aprì la mente, Morieno mi confermò nel pensiero, Mosè Hermete mi chiarì del tutto.

Lode a Dio, che non lascia di esaudire chi con perseveranza lo prega, e fà conoscere quanto degno sia l’Uomo ajutato dalla sua grazia. Non lascio dunque dirle tutto, acciò se scorge in me vestigio di vera scienza, si degni cooperare a’ favori del Cielo, havendo per natura sopra ogn’altra cosa a cuore il segreto de’ Filosofi. Conobbi dunque il nostro Oro vivo, e conobbi l’Acqua che lo solve, e la simpatia ch’è trà essi, essendo figli d’un medesimo Padre ; e bene intesi, che il Padre è il Sole, Madre la Luna, e portatore il vento. Ma perche : Non uni dat cuncta Deus, ancorche quasi tutti habbia letto i Filosofi : pure nel porre le mani in pasta, mi restano alcune difficoltà da sopire, per le quali ci sono tante contradizzioni ne’ Filosofi, che non sò cavarne il senso vero. Che però ne vengo, non già come Saba a Salomone, ma come un’ignorante all’oracolo, per riceverne non già risposte enigmatiche, ma bensì chiare & intelligibili dal mio rozzo ingegno, assicurandola, che se Dio mi sarà propitio, verrò subito a suoi piedi per renderle le gratie dovute, col dipendere in tutto dal suo volere & c.

Appresi dunque come tutta la difficoltà del nostro magistero consiste nella preparazione della nostra Acqua, e così nella prima sublimazione filosofica vidi in essa il Sole, e la Luna, e così per sette volte dal Sole, e dalla Luna l’estrassi ; però vorrei sapere se così per sette volte purificato il nostro Mercurio è già perfetto, e valevole a penetrare i pori dell’ovo, e sciogliere il Sole, ò pure hà bisogno di altra manipola, cioè ricolazione finche divenga polve ? il mio dubbio nasce, perche non è bianco come la neve, e tiene alquanto del suo odore, e non essendo fisso, perche svapora, come potrà fissare ? onde la prego per quel Dio, che adora, a dirmi se è perfetto il Mercurio così per sette volte purificato, e se nò, che altro richiede ?

L’altra difficoltà hò io nelle feccie del nostro mare ; da queste ne hò già cavato con lo stesso Mercurio credo il Salpetra, mentre è a guisa di Sale, e di tale efficacia, che non sostengono le nari il suo odore, però non sò a che servirmene, avvegnache hò il Mercurio purificato. Il nostro cinabro non hà bisogno di fermento ; havendo dunque questo perfetto dalla natura l’altro purificato dall’arte, ad quid il Sale ? Stimo debba servire per il fermento dell’acqua, che però favorisca avvisarmi, se è necessario fermentare tutta l’acqua, ò pure quella portione ove il Serpente s’immerge, e con che peso, e misura, mentre specolo, che una di Sale, e dieci di Mercurio debba andarci, ma non sò se a proporzione di peso. Anche vorrei sapere la quantità di Mercurio, che si deve preparare, acciò non manchi il latte all’imprigionato Infante.

Altra difficoltà tengo nella forma del Vaso, dice dell’ultima fissazione, avvenga che mi paja debba essere come ovo di Gallina, tutto ripieno, e con l’immergere fare che il capo del Serpente ne resti fuora. Ma perche li Filosofi dicono deve essere con collo lungo, ne desidero dalla sua bocca la verità, con avvisarmi, se pure una parte del Serpente deve restar fuori del suo menstruo, & il collo vacuo, il che mi dà che pensare, dubitando che l’aere del collo non impedisca la generazione.

E perche fò conto d’ogni accidente, saper anche vorrei, se è meglio dallo stesso monte pigliar l’oro, e l’argento, acciò ci sia più simpatia ; ò pur dal monte il Sole, e dalla Collina la Luna.

Del resto leggo per certo, che la Fenice com’esce apunto dal suo nido, così pura qual’è, si deve imprigionare senza aggiuncerci, né mancarci cosa alcuna ; pure se in questo prendessi qualche sbaglio, si degni avvisarmene, e dove deve Dio difondere le sue gratie, non manchi di cooperare co’ suoi favori, nel rispondermi senza citazione d’Autori alli predetti miei dubii ; né derida la mia semplicità in iscriverle con tanta schiettezza, mentre questa è grazia a Dio, il quale ben vede, che né interesse, né altro fine mondano mi hà spinto a tale studio : mà il solo desio di sapere, & impiegare ogni scienza in gloria del donatore di essa. Faccia dunque meco quello da Dio le sarà spirato havendo ferma fede, che quello stesso mi spirò di scriverle, darà a V. S. piacevolezza per consolarmi. E per fine dichiarandomi di V. S. vero servo, é humilissimo Discepolo, di tutto cuore le bacio le mani.

 

Napoli li 28. Luglio 1678.

 

Di V. S. che prego anco dirmi come si possa fortificare il Vaso, acciò possa resistere per nove mesi.

Devotiss. et obligatiss. Servo

D. C. de R.

 

 

 

risposta del signor federico gualdi alla soprascritta lettera

 

 

Molto Illustre, etc.

Ricevo una sua carissima se bene non conosciuta da me la sua Persona, ma bensì la sua suprema intelligenza, secondo che dalli suoi Caratteri hò potuto comprendere. Mi dispiace grandemente che io non sono abile, né manco hò capacità di poter rispondere sopra quei profondissimi quesiti da lei proposti ; ma tanto più sarò scusabile, non sapendo io né anco bene la Lingua Italiana. Però per sodisfarla in qualche parte secondo il mio debole intelletto, dico primo, che lei parla nella sua lettera mandatami troppo oscura al solito de’ veri Filosofi, e perciò rende confusione, e non si sà che cosa rispondere. L’è vero che nel Campo Damasceno si trova quella Terra Vergine unica materia del nostro Magisterio, & io vi aggiungo Terra Vergine, che mai hà veduto Sole né Luna, se bene contiene in sé il Sole, e la Luna stessa : ma V. S. non si dichiara qual sia quel Campo Damasceno, né manco quale sia quella Terra Vergine, unica materia del nostro Magisterio ; né anco come, ò in che modo si hà d’acquistarla.

E poi lei dice : Conobbi dunque il nostro Oro vivo, e conobbi l’Acqua, che lo scioglie, e la simpatia che è tra essi, essendo figli d’un medesimo Padre. Tutto stà bene ; ma lei non dice qual sia quest’Oro vivo, e quest’Acqua che hà da solverlo ; si che io non posso giudicare nessuna cosa. Et anco lei resta confusa con la mente in non sò che difficoltà ; la causa è che non lavorerà in debita materia. La mi dice ancora, che tutto il secreto consiste nella preparazione dell’Acqua nostra, e vi è dentro il Sole, e la Luna ; il quale tutto è verità.

La difficoltà poi che lei hà di sublimare la nostra acqua sette volte, se sarà all’hora perfetta sì ò nò. Rispondo, e dico : Li Filosofi comandano di distillare l’acqua sette volte ; ma dicono septies aut plures, e dice il Sangivodio, quando sarà perfetta ; cioè quando lascerà le fecce bianche in fondo, sì che questo è il segno della sua perfettione.

L’altra difficoltà che lei hà nelle fecce del nostro Mare ; delle quali hà cavato il Sale. Io conosco che lei sia in un grandissimo errore tanto nella materia quanto nel modo di operare. Si che questa è la causa di tanta confusione, e tante difficoltà. Se V. S. lavora nella debita materia, non incontreria tanta variazione, ma faria tutto conforme li passi de’ veri Filosofi.

Quanto all’altra difficoltà della forma del Vaso, dipende tutto dalla materia, perche havendo la vera, e debita materia, da per sé lei stessa si troverà il suo vaso.

Nel resto delli altri dubii che pone V. S. se è meglio dall’istesso monte pigliar l’Oro, e l’Argento, ò pure dal monte il Sole, e dalla Collina la Luna, non sò che imbrogli sono questi. Credo che lei si confonda in tutto ; non sò se sia enigma, metafora, overo capricii suoi proprii, e perciò non sò rispondere. La mi perdonerà, perche parlo con sincerità, e con l’animo schietto senza nessuna simulazione. Intanto se posso servirla in qualche conto, sarò sempre pronto di obbedire ad ogni minimo suo cenno, e la riverisco di tutto cuore, e resto

 

Adi primo Settembre 1678. In Venezia.

 

Di V. S. Molto Illustre & c.

 

Devotissimo amico per sempre

Federico Gualdi

 

 

 

 altra lettera del m. r. p. d. c. de r. al gualdi

 

 

Molto Illustre Signor mio Osservandissimo

Non poche gratie rendo a V. S. mentre si è degnata rispondere alle mie ignoranze, effetto della sua magnanimità, non del mio merito, e perciò stimo la sua lettera come una risposta d’Oracolo, ancorche niente dica alle mie interrogationi accidentali all’opera, e dalle sue humanissime parole sento rescrivermi che apertamente intende, ch’io intenda la sostanza del Magistero, ancorche falisca nel modo di manipolare. Non ricercai à V. S. se io lavorassi in vera materia, perche ero certo di restare tuttavia in dubio dalla sua risposta, mentre niente quella rivela. Ma posto che io hò ricevuto dal Signor della Verità la cognizione, solo desideravo il lume certo della manipolazione, il che facilmente si concede a chi non altro ricerca. E per ottenere questa gratia dissi, che hò conosciuto la Terra Vergine nel Campo Damasceno & c. V. S. dice l’istesso, mà aggiunge che quella non nomino. E benche non la devo nominare (particolarmente in lettera) perche nessun Filosofo l’hà nominata. Basta l’haver detto, che l’hò trovata con la lanterna di Diogene. Tuttavia se desidera ch’io la nomini, dico, che il suo proprio nome è Acqua nostra, Oro nostro. Acqua è quella, che dal Filosofo sette volte si retifica, & è menstruo del nostro Oro, di quell’Oro, cioè, che è quella Terra Vergine del Campo Damasceno & c. sì come è fatto dalla natura, così senza diminuzione, ò aggiunta si pone a dissolvere, sublimare, incerare, & essiccare nell’acqua retificata. Questo è tutto il Magistero, che doppo molte spese, e fallaccie, solo con l’orazione, e lo studio per misericordia di Dio hò conosciuto.

Con varj nomi si chiama la nostra Materia, e con varj nomi si nomina il luogo da dove si riceve ; però io anche nell’altra mia lettera, doppo aver detto, che hò conosciuto l’Acqua, e l’Oro nostro sempre il medesimo ; per sciogliere le mie difficoltà l’hò nominato con altri nomi, & in particolare, quando metaforicamente parlando, volsi sapere se da un Monte medesimo dovevo ricevere l’Oro, e l’Acqua, overo dal Colle l’Acqua & c. e la difficoltà nasceva dal luogo dove Moreno dice : Tutto quello che hà in sé tutte le cose, non hà bisogno in modo alcuno di alieno aiuto. Dunque dà un tutto necessario all’opera, per maggior simpatia, contro l’opinione delli altri Filosofi, che pigliano l’Acqua da picciolo Monte, & c.

Esplicai a bastanza, dottissimo Maestro la volontà mia ; ma perche il nostro Magistero si assomiglia alla generazione umana, però si come non sempre, ancorche segua la copula frà il marito, e la moglie, si procreano figliuoli, così nel nostro Magisterio, ancorche si abbi notizia della vera materia, e del menstruo, ad ogni modo non si fà la generazione, mentre da varij accidenti dipende, e perciò son ricorso a V. S. come ad Oracolo, acciò m’instruisca solo della manipolazione, per non errare, quando metterò mano all’opra ; mentre da i libri non trovo niente di mia sodisfazione, e specialmente, ciò che io abbia da fare delle feccie, mentre tutti dicono, che l’Acqua nostra debba retificarsi non più di sette volte, né meno di cinque. Io retificai quella sette volte, e rimasero nel fondo feccie come la Pece, che farò di quelle ? Se di nuovo vi soprainfondo l’Acqua distillando fin che s’imbianchi, faccio contra il precetto de’ buoni Filosofi, e dubito della loro dealbazione, e che l’Acqua non si riduca senza vigore.

Ma dato che s’imbianchiscano, che farò di quelle, mentre da Ermete molto si stimano ? Le averò da poner forse così imbiancate di nuovo nell’Acqua, mentre a mutar l’oro riscaldo ? Giusta al detto di F. Basilio, se non fallo ; bisogna bene estercorare la sua Terra, ò nò ?

La supplico ad ajutare la mia ignoranza, mostrandomi chiaramente, non enigmaticamente dove io possa errare, e mi renda cauto nella maggiore difficoltà, e specialmente del Vaso dell’ultima fissazione, perche dubito se debba essere col collo lungo quello dove si mette l’oro, overo come un’ovo, e se debba esser pieno tutto, overo abbia da da rimaner vacuo il collo ; se si debba immergere tutta la materia, overo la terza parte di fuori ; e se per spazio di nove mesi può il vaso ressistere.

La supplico ricordarsi del detto di Salomone, che dice nella sua scienza, che senza invidia la comunicò, e creda che non favorisce un’Uomo totalmente indegno. Aspetto dunque dalla sua benignità una piena notizia del modo di operare, e dichiarazione de’ miei dubii, mentre pregando Dio per la sua salute, le bacio riverentemente le mani.

 

Napoli 8. Ottobre 1678.

 

Di V. S.

Umiliss. Serv. e Discepolo

D. C. de R.

 

 

 

risposta del gualdi alla soprascritta lettera

 

 

Molt’illustre et c.

Ricevo la sua carissima Lettera, della quale hò inteso, come anche dalla sua prima, che lei non è nella vera materia, ma l’è una sua opinione vana, e fallace, e tutto quello, che lei farà, sarà tutta fatica buttata al vento ; la mi perdoni, che io parlo liberamente. Io non posso simulare, dico la verità. Se V. S. fusse illuminato della vera materia filosofica, non le faria tanta difficoltà nell’operazione. L’è vero, che li Filosofi anno occultato tutto ; e la materia, e l’operazione ; mà totalmente una dipende dall’altra, sì che sapendo la materia facilmente si può sapere la manipolazione, & all’incontro sapendo l’operazione, facilmente si può sapere la materia ; perche non vi è altro che una unica materia nel mondo, sopra la quale possono corrispondere le manipolazioni tutte, che insegnano li Filosofi veri, e perciò anno occultato non solo la materia, ma per necessità anche l’operazione. Dipende (come ho detto di sopra) una dall’altra : dunque non si può dirlo chiaro ; massimamente scrivere in lettere.

In due modi s’impara questa divina, sacra, e santa scienza. Overo per inspirazione Divina, overo per la viva voce d’un fedele Amico. Quanto allo studiare, e leggere i libri, è quasi impossibile d’arrivarci. Così anco con infinite operazioni, e con diverse prove, che si vanno facendo mai ci si può arrivare ; perche questa è una scienza come le altre scienze, la quale si può imparare sicuro, e certamente, senza fare nessuna prova, e senza mettere mano a nessuna operazione. Con ogni sicurezza si capisce con la mente, che l’è vero, e non può essere in altra maniera, e per forza bisogna che sia, & anco si sà avanti ogni operazione, che cosa hà da essere ; e si conosce alli segni se si opera bene, ò male ; e ci sono li rimedii sicuri per gli errori, e tutto corrisponde col detto di Autori buoni, sì che avendo l’inspirazione Divina, e sapendo la Scienza non si può fallare.

Dunque non conoscendo io dalle sue lettere, che lei conosca la vera materia, non posso né anche io parlare chiaro né della materia, né della manipolazione. Solo dico, che la materia è così maravigliosa, e così fuor di modo ammirabile, che avendo quella in suo potere, si hà anco insieme il Vaso, il Forno, il Fuoco, il Menstruo, l’Oro, l’Argento, il Mercurio de’ Filosofi, e si hà tutto quello, che appartiene all’opera Filosofica ; sì che le sue domande sono fondate sopra vani pensieri sofistichi, alle quali io non posso rispondere ; ma dimandando le proprie, e filosofiche interrogazioni, risponderò con ogni franchezza pontualmente. Non altro per ora che di tutto cuore la riverisco, e resto

 

Di V. S.

 

Adi 2. Novembre 1678. Venezia.

 

Affezionatiss. Amico per sempre

Federico Gualdi

 

 

 

 altra lettera del p. d. c. de r. al detto gualdi

 

 

Molt’Illustre Sig. E Patron Osservandiss.

O se io potessi trasferirmi costì per abboccarmi con V. S. come le farei vedere non essere la mia scienza chimera, né ente di ragione, ma ben vera, e fondata nella più soda filosofia. Le darei conto di quanto contiene il Regno minerale, e le farei toccar con mani qual’è l’umido radicale de’ metalli. Discorrerei del Macrocosmo, e del Microcosmo, e fin dalla creazione di Adamo dir vorrei li particolari, senza lasciare cosa della qualità del Campo Damasceno. Le direi qual’è il Mercurio de’ Filosofi ; quale l’Oro, quale l’Argento ; né lasciarei enigma de’ Filosofi più rinomati, che io non sgramaticassi a parte, a parte, facendole vedere quanto chiaro àn parlato gl’intelligenti ; ma non essendomi permesso, forza è che io taccia, mentre per lettera non mi fido dir tanto, e dico solo, che ove una sola volta splende raggio di vera scienza, è impossibile offuscarlo co’ torbidi delle contradizzioni. Esempio pur troppo chiaro ne abbiamo nel Trevisano, che conosciuto il vero non poté mai esser distolto da quelli, che invidiandone la virtù, cercavano invilupparlo. Sò bene che se lei possiede sì gran tesoro, averà bene inteso come io non erro ; né creda sia un mio indovinare, mà bensì vera cognizione cavata ex visceribus causæ, e se fin ora non sono giunto alla perfezione, non è stato per errore, ma bensì per non aver poste ancora le mani in pasta ; avvengache sono già corsi due Anni, che io fui illuminato da Dio ; e da non sò quale occulto magnetismo sono stato tenuto sospeso, quasi contento della scienza sola, non hò badato al resto : havendo solo preparata l’Acqua nostra, con mio contento, e piacere ; sì che non hò di che lamentarmi, sperando che quel Dio, che dat esse, et perficere, havendomi per sua misericordia illuminato alla cognizione del vero, mi darà il suo ajuto in perfezzionarla. La notizia di un tant’Uomo, qual’è V. S. da mè stimata, mi hà fatto sospendere la mano, fiscalizando meco stesso in quelle accidentali questioni, per le quali hò preso ardire, senza merito alcuno, fastidirla con le mie lettere ; sapendo che i Filosofi di più grido non anno avuto a discaro trova persone capaci, per averli in discepoli, e comunicare ad essi quella scienza, che a nulla serve nell’altro mondo. Così Morieno fù assunto dal suo Maestro, così gli altri dagli altri furono istrutti. Io però mai hò chiesto notizia della vera materia, che troppo sciocco stato sarei ; mà solo qualche barlume intorno al vaso, ultime fissazioni, & intorno alle feccie del nostro Mare. Né mi dica, che chi sà l’uno, sà l’altro, avvegnache vi è tanta differenza dalla Manipola alla Scienza, che molti, e molti nella vera materia faticando, col manipolarla altrimente, la distruggono, e nulla fanno. Et ancorche io dalla generazione de’ metalli abbia imparato ad immitar la natura nella sublimazione della nostra acqua, pure ò bisogno d’altri lumi per giungere alla perfezione. E perche sò, che il nostro Oro vivo non sempre risolve nella sua Acqua, posto forse perche non sempre è di buona qualità ; perciò io la pregava à dirmi solo, come esser deve la forma del vaso, dico dell’ultima fissazione ; se con collo lungo, ò come ovo di Gallina ; mentre trovo deve esser con collo lungo ; né questo mi sodisfa, atteso quel di Gallina mi avvertisce non dover entrare aere alcuno nel nostro Oro, mà includerlo, come stà incluso quello della Gallina, mentre (come quello) hà in sé il Mercurio, il Solfo, ed il tutto necessario al nostro Magisterio, e da sé fà tutte quelle operazioni dai Filosofi in tante guise descritte, non dovendo far noi altro, che mantenere accalorata l’acqua sua con calor naturale, e sopra infondervi dell’altra, quando l’Infante, ò Drago, che è dentro, comincia a nutrirsi di essa, mantenendo sempre la stessa proporzione : sì che a queste dimande ben poteva per sua gentilezza rispondermi con verità, e senza manifestare l’Acqua nostra, in cui stà tutta la difficoltà, e come le feccie purificate di nuovo con l’acqua si runiscono, il che è molto differente dalla cognizione della materia, in modo che si può sapere l’una senza l’altra ; onde io sperando dalla sua gentilezza una ricetta sola intorno al modo non hò prestato fede a coloro, che ne favellano ; spero però non oppormi al vero ; e quando a Dio non piacerà per i suoi giusti giudicii darmi il compimento dell’opera da impiegarsi da me solo per il suo servizio, morrò contento d’aver conosciuto il vero, e come il vero an detto i Filosofi, infamati solo dall’ignoranza de’ sciocchi.

Scusi dunque il mio ardire se l’hò travagliata con le mie ignoranze, che sò certo, che avendo inteso ciò che le hò scritto, non mi terrà per tanto sciocco. Non altro, me le offero servo di tutta obligazione, né mi scordarò ne’ miei Sagrifizii pregare Iddio voglia darle il colmo d’ogni felicità ; e per fine bacio a V. S. le mani.

 

Napoli 3. Dicembre 1678.

 

Di V. S.

 

Devotissimo et obligatiss. Servo

C. D. R.

 

 

 

lettera del gualdi al signor n. n.

 

 

Molto Illustre Signore.

Lei intende benissimo la riduzzione dell’Acqua sopra la Terra, che una và solvendo, l’altra congelando, fino al marmoro coruscante, della quale si sublima la Terra fogliata. Mà questa riduzzione si fà sopra la sua terra propria, e con la sua acqua propria, che è uscita da essa non con la Calce lunare, e con il Mercurio, li quali non si uniranno mai in perpetuo per maniera, che non si possa di nuovo separarli.

La Calce de’ Corpi s’intende de’ nostri corpi, che sono vivi, mà quelli del Volgo sono morti, non bevono né mangiano più, il Tiranno del Mondo li ha ammazzati. Dell’Uomo nasce l’Uomo, dell’Oro nasce l’oro, mà dell’Uomo vivo non del morto, e dell’Oro vivo non del morto.

La Terra nostra depopolata, e priva d’ogni spirito, è Argento, & Oro vivo nostro ; ricongionto co’ suoi spiriti ne nasce la Terra corruscante.

Le balle di Pulte le hà lavorate bene, e spero, che possano venire bianche. Li altri Vasetti di terra, che galleggiano pallidamente, vanno benissimo ; la pallidezza anderà sempre crescendo, & il giallo diminuendo, e si accosteranno sempre più al bianco. Il Lapis è facile a dire, mà difficilissimo a farsi, e questa è la causa che si trovano pochi che il fanno. Con fatiche, e sudori bisogna acquistarlo, all’ora è stimato per quello che è. Resto con riverirla di tutto cuore.

 

Di V. S. Molto Illustre.

 

Adi 11. Settemb. 1677. Venezia.

 

Affettuosiss. Amico per sempre

Federico Gualdi

 

 

 

altra lettera al signor N. N.

 

 

Eccellentiss. Signor mio Signor, e Patron Colendissimo.

Dalla Carissima sua intendo il successo del Bollito Mercurio ; il quale è così, e non può né anco essere in altra maniera ; la ragione gli dirò.

Il Mercurio non si congela, overo non si riduce in terra, se non con un certo determinato grado di fuoco cioè conveniente a lui, che si chiama suo fuoco, secondo la sua esigenza. Che cosa è questo suo fuoco ? non è, e non può essere fuoco debole, perche se si tenesse mille anni il Mercurio al fuoco debole non si congelaria mai. Non è, e non può essere fuoco violento ; perche se si mettesse l’istesso Mercurio ridotto in terra sul fuoco violento, tornaria liquido, e fluido com’era. Dunque non potendo congelare né col fuoco debole, né col fuoco violento, bisogna che sia il suo fuoco un determinato grado trà il debile, & il violento ; perche tutta l’Arte consiste nel Reggimento del fuoco, e questo è un fuoco con cauta violenza, con il quale si congela, e si riduce in Terra, e con quello si fà tutto quel che si desidera. La causa perche la necessità ne stringe di ridurlo in terra è : perche mentre è liquido, overo fluido egli è troppo compatto, la fiamma del fuoco non può operare sopra le sue scorie, ma lui le difende, e le appalia ; mà essendo ridotto in Terra all’ora l’è aperto, & il fuoco lo domina, e passa per tutti i meati, & altera le scorie, e le fà eterogenee, e separabili, che per avanti erano troppo unite, coperte, appaliate, & omogenee con l’istessa sostanza essenziale di esso Mercurio, & era impossibile di separarlo.

La causa perche prima bolliva, & adesso non bolle più, è perche in quel tempo della sua bollizione gli è stato levato, overo consumata gran parte della sua Acquosità, la quale è causa della bollizione. Se fosse levata, ò consumata l’umidità Acquosa tutta non bolliria mai più, & averia un color celestino bello.

E con questo saranno dichiarati tutti li dubii della inclusa Poliza ; li passi son veri, mà con osservanza del suo grado di fuoco : altrimente fallando nel grado di fuoco farà fallace tutto.

Accetti la sua benignità questa poca mia debolezza ; non so più, e quel poco che sò, son sempre pronto a comunicarlo ad altri, e massimamente a lei, e suoi Amici ; restando io sempre desideroso d’imparare più, e più, per poter servire maggiormente al suo alto merito.

 

Di V. S. Eccellentiss.

 

Adi 2. Dec. 1674 in Venezia.

 

Affetionatiss. Amico per sempre

Federico Gualdi

 

 

 altra lettera del gualdi ad un sacerdote suo amico

 

 

Molto Illustre, e molto Rever. et c.

Ricevo la sua gentilissima di 25. corrente con un Cesto di Cerase Visciolate, onori sopra onori, e grazie sopra grazie continuate. Non posso dire altro, se non confessare la verità, cioè hò trovato un altro Padre, e più che Padre doppo tanti Anni, che è morto il mio proprio Padre. Sia laudato Iddio, e ringraziato il Cielo per tanta sua cordiale benignità.

La sua brama di sapere la proporzione dell’Acqua, e della Terra nella riduzione, è facile il sodisfarla ; abbandonando primo, e lasciando andare tutti li detti de’ Filosofi, perche sono discordi in questo. Uno vuol dieci parti d’Acqua, un altro vuol 9. un altro 7. & il Pontano ne vuol 3. e molti altri tutti discordanti ; mà lasciamo andar tutti questi, e consideriamo il nostro bisogno, e la possibilità della natura.

Io dico, che è necessario (avendo fatto tanta fatica, e finita herculeus labor per cavare la parte fissa, e secca del Mercurio) di mantenerla sempre in sicco, e perciò vi vuole poca acqua, e massimamente in principio, anzi pochissima, accioche la terra, che è la parte secca, possa sempre aver dominio sopra l’acqua, e congelarla. Nel poco non si può fallare ; anzi tutti i Filosofi dicono : Se volete della Terra far Acqua, prendete tre parti Acqua e una parte Terra. Ma se volete dell’Acqua far Terra, prendete tre parti della Terra, et una dell’Acqua. E questa è la buona regola.

Adesso noi volemo dell’Acqua far Terra, cioè ridurre l’Acqua sopra la Terra, e fare una massa secca, come marmo coruscante, tutta congelata, e dura ; e perciò bisogna dargli poca acqua alla volta, e tener sempre la massa in siccità, accioche il secco sempre domini, e così anderà bene ; in principio sarà un poco diffidile, e stenterà qualche poco ; mà quando la terra comincia a restituire la sua acqua all’ora anderà con più facilità, raccordando che ogni 8. overo 15. dì, bisogna levare quell’umido superfluo, sive umido urinale, perche quella parte cruda non si unisce con la terra ; la terra attrahe solamente la parte più cotta, e più viscosa, che la trova nell’acqua, e la parte cruda rigetta, se bene tutta pare congelata.

La seconda : se si debba impastare con la tritazione, overo se si deve metter l’Acqua sotto, e la terra di sopra nel Sagiolo. Rispondo ch’egli è tutto uno, solamente la differenza è nel fuoco, perche se si mette l’acqua sotto, e la terra sopra vi vuol maggior fuoco ; cioè tanto l’acqua possa sublimare, & andare dentro la terra, mà non tanto fuoco, che possa arrivare tutta sopra la terra come lago ; perche volendo unire con ferma unione, e con vero vincolo Matrimoniale Chibric,[3] & Beya, non bisogna separarli, ma farli stare insieme, accioche possano componersi, & unirsi con perpetua unione, che mai più si possa separare.

Ma se si vuol impastarli insieme con tritazione, mettendoli al fuoco, vi vuol assai manco fuoco, perche è più facile a sublimare l’umido, essendo la terra aperta per il tritare ; è ben vero, che con più poco, e più lungo calore si uniscono molto più efficacemente, & in più quantità, di quello che fanno nell’altro modo.

Sia come si voglia in uno e nell’altro modo, bisogna osservare il grado di fuoco, che la femmina non separi dal maschio solo che qualche particella più cruda, e più acquosa, che sublima in un poco di fumetto. E questo è quello che posso dire in questa particolarità, però per dire il vero, la maggior parte dell’Herculeus labor è trovare questa terra ceneritia ; cioè separare la parte fissa della nostra materia, che è tutta volatile ; & in quella errano la maggior parte degli Alchimisti, prendendo il Corpo fisso per qualche altra cosa falsamente ; e nel resto non è così facile d’errare, ma è più sicuro a lavorare senza commettere tanti errori, come ella con la pratica esperimenterà, e conoscerà, che il Sangivodio hà detto la verità quando hà detto il Centro mio è fississimo. Havendo la parte fissa, fisserà anco il suo spirito, che è uscito da lui ; e con questo cordialmente la riverisco & c.

 

Di V. S. molto Illustre, e molto Reverenda.

 

Adì 27. Maggio 1678. in Venezia.

 

Affettuosiss. Amico per sempre

Federico Gualdi

 


 

[1] La Critica della Morte, op. cit.

[2] Sendivogius.

[3] Gabricio.