Racconto intorno ai successi del Signor Federico Gualdi diretto dal

Traduttore al Sig. Prevosto di Ternan [1]

 

Doppo aver letto con singolare sodisfazione le vostre belle risposte, Signor Prevosto, alle riflessioni dell’Anonimo sopra la lunga vita del Signor Gualdi, e doppo averle con molto gusto trasportate nella nostra lingua ; mi sono sentito muovere a darvi una relazione più esatta di cotesto grand’Uomo da me benissimo conosciuto, e la di cui improvisa partenza da Venezia, in tempo che n’ero lontano, mi apportò maraviglia, e dispiacere insieme ; la prima per una risoluzione così strana, che mi confermò nell’opinione concepita già un pezzo avanti dell’aver esso quel secreto divino da tanti Uomini ricercato ; mentre aveva abbandonato ogni suo avere apparente, e considerabile, partendosi solo, e senza alcuna cosa di valore ; il secondo, perche al mio ritorno in Patria non ci avrei più ritrovato un’Uomo, di cui facevo tanta stima, e di cui godevo l’amicizia. Io dirigo dunque a voi, Signor Prevosto, questo Racconto, mentre vi suppongo ancora in istato di sentirlo, già che la disavventura non vi permette di leggerlo, per la mancanza della vista, come vi priverà del contento, che avreste in vedere la copia di quel Ritratto, che hà fatto tanto strepito fin nell’Olanda ; e spero che lo gradirete, come ve ne supplico, e ne attenderò qualche riscontro.

Io non pretendo quì di scrivere una Vita, il che mi obbligarebbe ad osservare le Leggi della Rettorica ; oltre che parlandosi d’un Uomo, il di cui natale è a tutti ignoto, e non si sà, se abbia terminato, o se rimanga ancora da terminare il suo vivere, non si può osservare in esso, come negli altri, le regole dell’Arte. Scrivo dùnque solo quello, ch’è caduto sotto la mia notizia, e lascio ad ogn’uno la libertà di supplire a quello, in che io sarò mancante.

Io ero ancor giovinetto, quando l’Anno 1653 cominciai a conoscere il Signor Federico Gualdi, ma la debolezza della mia età non mi permetteva di poter per anche conoscere la chiarezza del suo ingegno, e la profondità della sua scienza, e della sua dottrina. Non sò né meno dire se all’ora fosse poco, o molto tempo ch’egli soggiornasse nella nostra Città, ma solo mi ricordo, ch’egli aveva l’effigie, e  le apparenza tutte d’un Uomo d’età di 40 Anni in circa ; perche sempre anche tale, senza fare alcuna imaginabile mutazione, si è conservato fin all’Anno 1680 ch’io fui chiamato in Napoli da alcuni miei affari.

Si trattava egli in quei principii da semplice forastiero, abitando o solo, o con un servitoruccio in due mediocri stanze, senza addobbi, e senza alcun’apparenza di lustro, o di maggiore comodità, che quanto possa bastare ad uno studente, ciò però non ostante, presa egli non sò come, l’amicizia con alcuni Nobili Signori di questo Stato ricchi di Minere, mà da molte jatture impossibilitati a coltivarle, cominciò ad impiegarci somme così considerabili di denaro, che in poco tempo arrivarono alla quantità di sopra sessanta mille ducati. Si compiacque egli intanto della bell’indole d’una figlia di quella Casa, benche ancor fanciulletta, e la di lei Madre obligata alle di lui bontà, per le quali migliorate infinitamente le sudette Minere, la Casa era risorta, stimò non poter meglio corrispondere, che con l’accumunare il suo sangue a quello di un tanto Benefattore ; onde se bene l’età della fanciulla fosse ancora di molto lontana alla possibilità del Matrimonio, ne stabilì ad ogni modo l’essecuzione per il tempo opportuno, e ne firmò alcune scritture autentiche di promessa, con assegnamento di sedeci mille ducati di Dote, alla quale il Gualdi, in segno di aggradimento, corrispose con l’obligo d’una uguale Contradote, ma forse anche con l’intenzione di donare tutte quelle somme maggiori, che a Parenti aveva prestate.

Come però è pur troppo vero che honores mutant mores avanzati li detti Signori a grado più sublime, benche forse preceduto da’ di lui ricchi benefizii, stimarono non dover più apparentarsi con un Uomo ignoto, e cercarono di stornare il contratto. Disgustato egli di simile procedura, s’allargò dall’amicizia, e ricercò la restituzione de’ denari prestati, al che venendo interposte molte disdicevoli dilazioni, si passò a’ Tribunali, mà finalmente per troncare li dispendii, & i litigi si contentò il Gualdi di perdere per via di transazione la metà del suo credito, ottenendone in iscambio dichiarazioni per esso decorose, & onorevolissime. Per far conoscere però a’ medesimi Signori che a perdere la di lui amicizia non avevano poco perduto, egli cercò d’esser aggregato alla Veneta Nobiltà per una via straordinaria. Fece dunque proporre al Publico Serenissimo di voler a sue spese fare un’opera grande, utile, & avantagiosissima, con che in premio di un tanto servigio gli fosse concessa la Nobiltà, alla quale all’ora molti venivano abilitati con l’esborso di cento mille ducati. Incontrò opposizioni inespugnabili questa proposta, fissa la Maestà Publica in non conceder premi prima de’ servigi ; ond’egli esibì l’esborso effettivo delli ducati cento mille, in forma di Deposito però, & a condizione, che facendo il servigio sudetto, gli fossero restituiti, e non facendolo restassero al Publico ; rimanendo però esso intanto a titolo di merito (non a titolo d’esborso come gli altri) dichiarato Patrizio. Ma costante il Veneto Senato ne’ suoi gravissimi prudenti istituti, negò d’introdurre novità in tali aggregazioni, e svanì in sì fatta guisa il trattato, nel quale però mai fù nominato il Gualdi, usandosi in tali materie il termine di Persona segreta propone et c. e solo accettata la proposizione, & accordate le condizioni, si propala il Soggetto ; mà si è saputo da Persone sue confidenti, ch’egli ne fù l’Autore, e che per esso si sarebbe effettuato. Accomodato dunque il suo animo a’ precetti della prudenza, & abbandonati i pensieri di vanità, e d’amore, si diede in tutto, e per tutto alla quiete, che viene insegnata dalla vera morale Filosofia.

All’ora fù che ne’ congressi d’Uomini dotti, ove alcune volte si ritrovava, fù cominciato a conoscersi la profondità della sua scienza, l’elevatezza del suo ingegno ; perche o si trattasse di materie Filosofiche egli con un estrema facilità risolveva tutti gli argomenti, e confondeva gli Argomentanti ; se di Politica nessuno aveva migliori notizie degli arcani di Stato più reconditi, né si mostrava più pratico de’ Gabinetti Reali ; se di Teologia, o se di Legge, si palesava inteso de’ Canoni più astrusi, delle sentenze, e delle decisioni più rinomate Astronomo perfettissimo ; pratico a maraviglia delle Matematiche, & in somma non vi è Scienza nella quale egli non fosse profondamente versato ; e le Storie de’ Secoli più remoti erano novissime nella sua memoria. Parlava perfettamente molte lingue, essendogli familiari la Greca, l’Ebraica, e la Latina ; oltre la sua nativa (com’egli diceva) Tedesca ; la Francese, l’Italiana, & altre. Qualità così rare dunque non poterono restare occulte, e perciò passarono alla cognizione di molti Uomini dotti d’Italia, di molti Signori, de’ quali alcuni che capitavano in Venezia, pieni della di lui Fama, nell’inchiesta delle cose più cospicue della Città, procuravano precisamente di vedere il Gualdi, e di ottenere la sua amicizia coltivandola poi per via di lettere ; e ci sono stati alcuni venuti a posta a trattenersi quì, per aver la di lui continua conversazione, pregiandosi del titolo di suoi Discepoli, particolarmente doppo che si era sparso il concetto di tener egli il Tesoro Ermetico, per esser stato veduto un suo Ritratto da molti Intendenti della Pittura asserito costantemente per  opera del Gran Tiziano. Era molto tempo ch’egli aveva piantato Casa notabilmente addobata, & in specie di buone pitture unite nella stanza migliore di essa, dietro la porta della quale teneva appeso il detto Ritratto. Andati un giorno alcuni a vedere le belle pitture, e frà essi un Dipingitore ben pratico, chiusasi a caso quella parte di porta, dov’era appoggiato il Ritratto, l’osservò il Dipingitore, ad alta voce in atto di maraviglia gridò, questa è mano di Tiziano ! Mostrò di ridersene il Gualdi e disse, che se ciò fosse stato egli avrebbe avuto più di 200 Anni, soggiungendo, che veramente ne aveva 86, e ciò fù l’Anno 1677. Non si acquetò per questo il Dipingitore, mà sempre asseverantemente affermava, che l’opera era di Tiziano. Intanto il Gualdi confessò 86 Anni, quando non ne mostrava più di 40 e faceva delle operazioni da un Uomo, che si ritrovi in quel fiore della sua età.

Questa fama dunque fù quella, che sopra ogni altra cosa fece concepire una ferma opinione che il Signor Gualdi avesse il secreto de’ secreti, e fù allora, che più di prima il Signor Marchese Santinelli s’invogliò della di lui confidenza, e la procurò per ogni mezzo ; come fece anche il Signor Pietro Andrea Andreini Gentiluomo d’origine Firentino, famoso in Napoli per le ricchezze della sua Casa, e per lo studio singolare, che ci tiene di Medaglie antiche, e di altre rarità ; onde uscito alla luce poco tempo doppo un picciolo libro intitolato Androgenes Hermeticus, che fù stampato a spese d’esso Marchese, si disse che fusse dottrina del Gualdi, mentre in effetto pochi anno scritto così bene di cotesta Scienza sovraumana, come si legge in detta operetta. Non si deve però nè anche togliere la gloria di essa al Signor Marchese, li di cui Sonetti ammirabili in questo proposito danno splendore alle stampe, e fanno ben supporre che anche l’Androgenes possa esser suo.

Ci furono pure molti Religiosi di gran Dottrina, che ricorsero a cotesto Oracolo con le loro suppliche ; frà questi io hò conosciuto uno di Nascita cospicua, e di una Religione nobilissima, le di cui lettere essendo passate per le mie mani, come pure le risposte, stimo opportuno il riportarle in questo luogo mentre son sicuro, che agradiranno al genio degli Eruditi, e de’ Curiosi, mà specialmente del Sig. Prevosto che così spiritosamente contra l’Anonimo s’impegna a favore del Sig. Gualdi. […]

 

conclusione del traduttore

 

Premesse le cose tutte sopranarrate, io credo bene, che si possa comprendere esserci nel Gualdi qualche cosa di straordinario e di ammirabile ; un’Uomo, che faceva ne’ principii del suo soggiorno in Venezia la figura di un semplice studente, che mai ha fatto il Mercante, così che dal Comercio potesse ritrarre emolumenti ; né aveva possessioni, od entrate, e pure hà potuto prestare sessanta mille ducati ad una sola Casa, & offerirne cento mille per ottenere la Veneta Nobiltà, richiedendola però con forme straordinarie, forse perche non poteva pratticare le ordinarie, che obligano a mostrare l’origine, e l’età. Scoglio per esso insuperabile, quando il Ritratto sia di mano di Tiziano, come fù asserito ; e perciò si contentava spenderne molte, e molte altre decine di migliara per effettuare il gran servigio che proponeva ; che seppe al fine risplendere con un’abitazione ben aggiustata, e fare delle altre azioni generosissime ; convien di credere, che avesse qualche Tesoro inesausto, e mentre sapeva conservarsi in una perfetta salute, & in una inalterabile virile complessione, bisogna lasciarsi persuadere, che cotesto Tesoro fosse quella gran Medicina, che hà potere sopra tutti li tre Regni Animale, Vegetabile, e Minerale.

Non l’aveva già il Religioso sopra nominato, poiche giunse al fine de’ suoi giorni pochi mesi doppo la data dell’ultima sopra esposta sua lettera, in cui mostra così grande intelligenza, e con tanta asseveranza si vanta d’esser pervenuto all’acquisto della vera Materia ; il che se fosse stato, sarebbe anch’esso tuttavia un’Apologo della Vita, mentre averebbe perfezzionato quel gran Magistero, a cui così ansiosamente aspirava.

Lo deve bensì essere il nostro Gualdi (meglio diressimo il nostro Eroe) e ne diede li più evidenti contrasegni quando finalmente il giorno 22 Maggio dell’Anno 1682 si assentò da questa Città, senza averne avuto altri motivi, che quelli gli vennero forse suggeriti dalla pubblicata notizia della sua Virtù. Aveva egli fatto anticipatamente Procura generale ad un suo ben fortunato Servitore, con la quale averebbe potuto disponere d’ogni suo effetto ; all’improvviso poi verso la sera del sudetto giorno, fattosi poner in un picciol Baullo alcune poche Biancarie, e Vestiti, come se avesse dovuto portarsi a diporto in un luogo di Villa, ch’egli godeva verso Trevigi, promise il suo ritorno frà pochi giorni, e rifiutata la compagnia del Servitore istesso, gli raccomandò solamente la Casa, nella quale lasciava mobili, & effetti preziosi, e considerabili ; e Nonagenario, come si era confessato ; mà forse coetaneo di qualche secolo ; solo, e senza alcun’altra assistenza, partì, ò per dir meglio sparì.

Aspettarono molti giorni il Servitore, e le Serve di sua Casa il promesso ritorno, mà non vedendolo, né ricevendo sue lettere, finalmente compresero, che il suo viaggio non era terminato nel diporto della Villa, dove seppero che né anche era comparso, onde complito con parte de’ di lui effetti agli ordini, che aveva lasciati, il rimanente è bastato, e basta per mantener essi lontani dalle angustie della servitù.

Questa è tutta la notizia che posso fin ora comunicare al Mondo d’un così strano successo, aggiungendo quì il rapporto di alcune altre lettere scritte da cotesto Uomo grande, che hò potuto ritrovar originali, e dalle quali sempre meglio si riconosce quanto dominio egli veramente avesse nel Mondo Ermetico ; e lascio la gloria di scrivere la di lui Vita, a quelli, che averanno la fortuna di vivere doppo la sua morte. 

 

 


[1]  La Critica della Morte, Colonia 1694, Venezia 1697, Venezia 1699, Parma 1704. Racconto del traduttore italiano dell’opera di Claude Comiers La Medicine universelle. Ristampe: Genova 1987 e Bolzano 1994.